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Circuito etnografico dei villaggi

INTERVENTO 6

 

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SAINT OYEN - Hospice di Saint Oyen. Château Verdun

Al tempo di Carlomagno, in una lettera scritta nel 785, il pontefice Adriano IV esortava i Cristiani a migliorare gli hospit ales per colles Alpium siti pro peregrinorum susceptione (trattasi appunto degli ospizi alpini eretti per accogliere i pellegrini). I Valdostani furono tra i primi a mettere in opera i precetti della dottrina cristiana, fondando lungo la via Francigena numerose istituzioni ospedaliere (hospit ales), adibite non solo al ricovero dei pellegrini, ma anche all'assistenza agli ammalati e ai poveri di passaggio. I vescovi e il clero, insieme ai laici "di buona volontà", concorsero alla costituzione di una fitta rete di punti di ristoro e di controllo territori ale, nonché alla fondazione ed al mantenimento di una trentina di ospizi, disseminati in massima parte sull'asse centr ale della regione. I mezzi di sostentamento di queste istituzioni benefiche provenivano essenzialmente dalle proprietà fondiarie, alla cui rendita si aggiungeva il ricavato delle elemosine. Le opere pie più importanti sottoponevano al proprio patronato gli ospizi minori che, non disponendo di strutture adeguate, fungevano da basi logistiche di appoggio. La campana della cappella annessa all'ospizio avvertiva i viandanti che in quel luogo avrebbero trovato il vitto, l'alloggio e le cure necessarie. Il regolamento di taluni ospizi prevedeva anche l'assistenza ai neonati abbandonati e a quelli partoriti dalle pellegrine in transito.

Nei borghi e nelle città pullulava una folla di commercianti, di artigiani, di fornitori di merci varie, di speziali, di cambiavalute, che fondava la sua fortuna sui rapporti commerciali legati al passaggio dei forestieri.

I viandanti però sapevano che l'unico luogo su cui potevano fare completo affidamento era l'ospizio, perché in esso si praticava l'accoglienza in nome di Dio, senza secondi fini.

I documenti rimasti, per lo più notarili, testamenti, donazioni, permute a favore di enti assistenziali, ci danno un'idea del complesso mondo di interessi che ruotava intorno al fenomeno soci ale, cultur ale e religioso del pellegrinaggio. Gli atti giudiziari del XIV secolo fanno espresso riferimento ai pericoli della strada, definendo i briganti publici et famosi latrones et robbatores stratarum. Le categorie del malaffare prediligevano le aree di confine, le zone impervie e le fitte boscaglie. E i rischi si accrescevano nei periodi di guerra, di pestilenza, di carestia. Gli ospizi sorsero perciò in luoghi strategici, dove l'incolumità dei viaggiatori era messa a dura prova.

Essi furono retti dai frères hospitaliers, a cui si affinacarono le soeurs hospitalières che si attenevano alla regola monastica benedettina dell'accoglienza. L'ospite che generalmente presentava una patente di buona condotta, era accolto da un abbraccio fraterno a cui faceva seguito un'orazione.

I cibi presenti nella Coena Domini, il pane ed il vino, erano offerti quotidianamente in ogni ospizio. Il regolamento ne specificava la razione, nonché i tempi e i modi della somministrazione. Nell'opera di Marco Ansaldo Una storia lunga 340 anni l'autore riporta la lista dei cibi dell'ospizio di carità di Aosta: c'erano latticini, di produzione propria, carne, pane di seg ale, vino, nonché la cosiddetta passade, una sorta di minestrone di verdure e cereali cotti e macinati.

Altri ospizi invece si limitavano ad erogare ai poveri pellegrini solo i cibi rituali del pane e del vino.

La capienza degli ospizi valdostani era assai limitata. Pellegrini e viandanti bisognosi potevano fermarsi solo uno o due giorni. I malati invece restavano fino a quando non fossero in grado di reggersi in piedi.

Il repertoriofarmaceuticocurativo del tempo era costituito da infusi, decotti, unguenti, impiastri, senapismi, fumigazioni, enteroclismi, secondo le necessità degli ospiti ricoverati. Si praticava anche la chirurgia con interventi su fistole, ulcere, ascessi. Mentre le lussazioni e le distorsioni erano di competenza del cosiddetto rhabilleur. La dieta degli infermi prevedeva piatti nutrienti base di carne e di uova. Negli atti di donazione agli ospizi, oltre alle proprietà terriere figuravano anche lenzuola, coperte, pagliericci, calderoni e quant'altro potesse servire.

L'origine dell'Hospice di Saint Oyen è incerta. Forse inizialmente si trattava di una casa appartenente alla Confrérie du Saint Esprit che si impegnava, come avveniva ad esempio a Donnas, a fornire un pasto caldo ai poveri in occasione della ricorrenza pentecost ale. Oppure l'ospizio era da identificarsi con il famoso Castellum Verdunensi, conosciuto come la grange, che fungeva da pied à terre dell'ospizio del Gran San Bernardo. Il castellum Verdunensi era verosimilmente una fortificazione perché il termine fa pensare ad una tautologia in cui il latino Castellum e il celtico Dunum si traducono entrambe come luogo fortificato. L'Hôpital di Château Verdun fu ceduto all'ordine del Gran San Bernardo dal Conte Amedeo III di Savoia nel 1137. Il testo recita "totam terram hospitalis de Castello Verdunensi quae iacet de Stipulis in sursum tam in monte quam in valle, sive in plane" cioè tutta la terra dell'ospizio sopra Etroubles, sia in montagna che nella valle che nel piano.

Renato Vallet, autore di un libro su Saint Oyen, ipotizza che l'ospizio di Château Verdun fosse anteriore al centro abitato.

La cosiddetta Maison Hospitalière, sita a quota 1350 m, fungeva da dépendance del Gran San Bernardo e come t ale aveva parecchie funzioni: l'accoglienza dei viandanti, l'ospitalità ai malati, il deposito di vettovaglie, la produzione di derrate, quali carne e latticini, il servizio di lavanderia, il rifornimento del legname da costruzione e della legna da bruciare nella casa dell'ospizio sul colle.

La grange di Château Verdun aveva molte proprietà, acquistate alle Chavannes d'Etroubles nel 1218, a Rouvillac nel 1221, a Citren e a Plassin nel 1222. Tali possedimenti furono spesso oggetto di contestazione con i signori di Bosses, d'Avise e d'Etroubles. Nell'opera del canonico Marguerettaz sugli ospizi si legge che il Conte Amedeo V di Savoia, in una lettera scritta da Saint Maurice il 22 maggio 1306, ordinava al balivo di smettere le vessazioni esercitate sui domestici della casa di Saint Oyen, poiché la maison de Saint Oyen était exempte de la cavalcade et pouvait exploiter les bois et le pâturages selon l'usage de la Comune.

Un inventario del 26 febbraio 1446 elencai beni in dotazione dell'ospizio: alcune caldaie per fare il formaggio, tre émines, un sétier, quarantacinque scodelle di legno, un arnese detto dolabra, per ruscelli, undici mucche, cinque giovenche, due cavalli, un mulino, un forno. Tra Château Verdun e i signori locali si verificarono nel corso dei secoli parecchi incidenti.

Nel 1591 la grange e la foresta subirono un incendio doloso. Dopo infinite controversie per determinare i diritti sui pascoli, sulle foreste e sulle acque nel territorio di Etroubles, nel 1782 una bolla pap ale attribuiva l'ospizio di Château Verdun all'Ordine Mauriziano. Tuttavia l'Ordine del Gran San Bernardo non si arrese e nel 1859 poté riacquistare l'antica dimora, sborsando 82.000 franchi. All'acquisto seguirono anni di intenso lavoro per il rifacimento delle strutture, la bonifica e l'irrigazione dei prati, la decorazione della cappella, l'installazione dell'energia elettrica e tante altre opere di miglioramento la cui esecuzione si protrasse fino ai giorni nostri.


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